IL PERCORSO RIABILITATIVO NEL TRAUMA CRANICO ENCEFALICO: Dall’ospedale al rientro a casa

Dott.ssa Nadia Valsecchi Psicologo esperto in Neuropsicologia

Il trauma cranico encefalico è tra le patologie a più alto rischio di disabilità e il suo impatto sociale è crescente. Ogni anno si verificano tra i 100 e i 300 nuovi traumi cranici per 100.000 abitanti con una prevalenza nel sesso maschile e con età compresa tra i 16 e i 25 anni.


Nel trauma cranico, l'urto o l'azione di forze violente sul cranio producono  lesioni e fratture cerebrali che possono condurre al coma e causare menomazioni a livello cognitivo, motorio e comportamentale. I danni derivanti da un trauma cranico possono essere temporanei (trauma cranico lieve) o, nei casi più gravi, portare ad una disabilità permanente. I dati mostrano come il 72% dei traumi cranici siano di grave entità, il 17% moderati e i restanti di lieve gravità.  Ed è proprio in caso di trauma cranico grave che la strutturazione di un buon  percorso riabilitativo si presenta come essenziale e decisiva nel ritorno ad una vita il più possibile autonoma e soddisfacente.

In generale si possono individuare tre diverse fasi nel percorso della persona che subisce un trauma cranico. Una fase acuta, della durata di alcune ore o settimane, in cui la persona è ricoverata in un reparto di cure intensive (rianimazione o neurochirurgia) e dove le priorità sono la salvaguardia della vita e la prevenzione delle complicanze. In questa fase il paziente presenta un alterato livello di coscienza e una  ridotta responsività agli stimoli esterni; si tratta dello stato di coma che può anche essere indotto da farmaci al fine di permettere al cervello di recuperare le proprie funzioni. Quando il paziente esce dal coma, inizia un percorso graduale di recupero della capacità di comunicare con l’ambiente durante il quale è possibile fare un bilancio delle funzioni cerebrali danneggiate. Una volta che il quadro clinico si è stabilizzato e non vi è immediato pericolo di vita, ha inizio la fase post-acuta precoce in cui il  paziente, a seconda della gravità dei  deficit, viene trasferito in un reparto di medicina fisica e riabilitativa o in una struttura di riabilitazione intensiva di alta specialità. L’obiettivo è il recupero del maggior livello di autonomia possibile tramite una serie di trattamenti che vanno dalla riabilitazione neuromotoria a quella neuropsicologica. Questa fase ha una durata compresa tra alcune settimane e vari mesi ed è caratterizzata dalla necessità di un supporto psicologico rivolto ai famigliari  e dal loro coinvolgimento nel progetto riabilitativo. Infine nella fase post-acuta tardiva,  che può durare anni,  l’intervento riabilitativo mira ad aiutare la persona a rientrare nel proprio ambiente di vita e riprendere, per quanto possibile, le attività di studio, lavoro e tempo libero. Quello fin qui descritto è il percorso ideale compiuto da una persona che ha subito un trauma cranico; tuttavia nella realtà dei fatti non sempre dopo il ricovero ospedaliero nella fase acuta seguono in modo fluido le altre fasi del percorso riabilitativo. Molta attenzione è data alla riabilitazione fisica e neuromotoria mentre sono considerati ancora aspetti secondari i  deficit cognitivi residui e le alterazioni comportamentali conseguenti un trauma cranico. “Hanno rimesso in piedi mio figlio dopo l’incidente ma vedo che ancora qualcosa non va, è un’altra persona”;  è ciò che molto spesso si sente dire ai genitori di un ragazzo che ha superato con successo la fase acuta ma che si porta dietro le difficoltà di attenzione, memoria e ragionamento tipiche conseguenza di un trauma cranico. A ciò solitamente si accompagnano alterazioni del comportamento e di personalità quali irritabilità, impulsività, labilità emotiva, collera, comportamenti sociali inappropriati, apatia e perdita di iniziativa che difficilmente la famiglia riesce a gestire con successo. E’ questa una fase molto delicata che rende necessario un supporto alla famiglia sia da un punto di vista psicologico sia da un punto di vista più prettamente pratico. In aggiunta vi è la necessità da parte del paziente di proseguire il percorso riabilitativo focalizzandosi maggiormente sul ripristino delle funzioni cognitive che costituiscono la base su cui fondare il ritorno ad una vita il più possibile autonoma. Esistono molte strutture all’avanguardia che offrono questo tipo di assistenza ma molto spesso sono lontane dalla residenza del paziente e prevedono cicli di trattamenti a singhiozzo i cui effetti positivi non sono automaticamente trasferiti nella quotidianità del paziente. Per tale motivo si sta diffondendo tra gli psicologi che si occupano di neuropsicologia un nuovo approccio alla riabilitazione cognitiva che vede il terapeuta calato nella vita del paziente. Pur attenendosi saldamente ai principi cardine della riabilitazione neuropsicologica, il percorso riabilitativo scaturisce dall’osservazione del paziente nel proprio contesto di vita e nell’individuazione di soluzioni pratiche ed ecologiche da affiancare ai classici training di riabilitazione delle funzioni cognitive deficitarie. L’obiettivo è unire i benefici di un training di riabilitazione cognitiva all’intervento situato nel contesto agendo sul duplice livello individuo-ambiente. In questo modo si cerca di dare una prima risposta concreta ai bisogni del paziente e della famiglia andando ad implementare i servizi offerti dalle strutture presenti nel territorio.

BIBLIOGRAFIA


S. Callegari, A. Pierobon, L. Viola, E. Mastretta, G. Majani (2004). Percorso neuropsicologico del paziente con trauma cranio-encefalico in riabilitazione.  Giornale Italiano di  Medicina del  Lavoro e Ergonomia; 26:2

 

Mauro Zampolini (2003). Incidenti stradali  e riabilitazione del traumatizzato cranioencefalico. In Aspetti sanitari della sicurezza stradale (progetto Datis- II rapporto). Istituto Superiore di Sanità;  Roma